Sinagoga e quartiere ebraico
La Sinagoga
La Sinagoga di Sabbioneta, luogo di culto e di riunione della comunità ebraica della città, fu costruita nel 1824 su progetto dell’architetto locale Carlo Visioli nello stesso edificio dove si trovava la precedente, più piccola, sala di preghiera. Localizzata in quello che fu per secoli il quartiere ebraico (a Sabbioneta non fu mai istituito un vero e proprio ghetto) ad essa si accede da uno scalone in pietra di Verona che, con quattro rampe, porta alla sala di preghiera; ulteriori due rampe conducono al matroneo. Di proprietà della Comunità Ebraica di Mantova, venne riaperta al pubblico nel 1994 dopo decenni di abbandono seguiti allo scioglimento della locale Comunità avvenuto nei primi decenni del XX secolo.
Il Tempio venne realizzato nella parte superiore dello stabile per rispettare il precetto secondo il quale tutte le sinagoghe non devono avere nulla al di sopra se non il cielo. L’interno, di pianta rettangolare, conserva gli arredi originali ottocenteschi costituiti dagli antichi banchi di legno, da un candelabro di Hannukkah e da un artistico cancelletto di ferro battuto che limita la zona più sacra nella quale si trova l'Aron, ai lati del quale pendono due lampade. L'Armadio Sacro, deputato a contenere i rotoli della legge, di fronte al quale è collocata la Bimàh (leggio in legno), è posto tra due colonne ed è sormontato da un timpano con una scritta dorata in caratteri ebraici.
Sul lato opposto altre due colonne sostengono il sovrastante matroneo, spazio di preghiera riservato alle donne, posto al piano superiore sopra l’ingresso della sala di preghiera dalla quale è schermato da una grata di legno. Il soffitto a volta dà l’impressione di un telo gonfiato dal vento, impreziosito dagli stucchi eseguiti nel 1840 dall’artista svizzero Pietro Bolla ed è sostenuto da una serie di lesene alle pareti e da quattro colonne di ordine corinzio che alludono al tempio di Salomone.
2018 (C) Alberto Sarzi Madidini
Due passi nel quartiere ebraico
I primi ebrei arrivarono a Sabbioneta nel 1436 mentre nel 1937 venne sepolto nel locale cimitero ebraico l'ultimo esponente della comunità: cinquecento anni di permanenza sul territorio fortemente e positivamente caratterizzati dalla presenza ebraica. Oggi, a distanza di un secolo dal dissolvimento della comunità, si possono identificare, nel centro storico all’interno delle mura gonzaghesche, i quartieri, le abitazioni e le proprietà immobiliari che nel corso dei secoli
ospitarono le famiglie ebraiche.
Rioni "ebraici"
Negli anni del dominio di Vespasiano Gonzaga, nonostante venissero emanate bolle pontificie che avrebbero dato inizio alla segregazione degli ebrei nei ghetti, alle famiglie ebraiche sabbionetane venne concesso di insediarsi liberamente
all’interno del reticolo viario cittadino. Rileviamo tuttavia che gli atti del 18° congresso geografico italiano, editi nel 1962 dall'Istituto di geografia dell'Università di Trieste riportano che “... in Sabbioneta ...il ghetto aveva una superficie di 4,3 ha. in confronto ai 17,95 ha. della superficie della città occupandone quindi circa un quarto dell'estensione” e che nel XVIII secolo l'attuale via Campi veniva comunemente denominata "Via del Ghetto". Questa apparente contraddizione forse è spiegabile con il fatto che, pur non essendo mai stato istituito un ghetto "ufficiale", le residenze delle famiglie ebraiche erano pressoché tutte vicine tra loro e concentrate sull’asse dell’attuale via Bernardino Campi.
La mappa, tratta dal libro "Il giusto, come palma fiorirà" di Ermanno Finzi, evidenzia le proprietà ebraiche nel centro storico negli anni 1774-1775. Su via G. B. Briziano si affacciano una serie di fabbricati che dovevano un tempo essere parte integrante del quartiere ebraico.
Durante lavori di ristrutturazione dell'oratorio “maschile” venne trovata nello stipite di una porta una "mezuzah", ampolla
di vetro contenente una piccola pergamena sulla quale è scritta una preghiera di benedizione per la casa. Successivamente anche nell'edificio ex oratorio “femminile” vennero trovate altre tre bottigliette contenenti le preziose pergamene che sono oggi conservate nel Museo di Arte Sacra.
La casa dell'ultimo rabbino
La grande casa, posta all’angolo tra via Bernardino Campi e via Pio Foà, è stata una delle residenze della famiglia Foà, che insieme ai Forti hanno costituito per secoli la struttura della comunità sabbionetana.
Una tradizione orale ricorda questo edificio come la dimora dell’ultimo rabbino di Sabbioneta, Cesare Foà che, una volta sciolta la locale comunità, si spostò a Soragna dove morì nel 1907. L'ingresso principale è quello su via Foà ed è
caratterizzato da un portale in marmo bianco sormontato da tre strette piramidi su cui sono sovrapposte tre sfere. Il fabbricato è ancora oggi abitato dai discendenti di Antonio Sbernini che lo acquistò dai Foà negli anni Venti del secolo scorso insieme ad una corte agricola nella frazione di Borgofreddo. Il grande caseggiato ha ospitato più famiglie secondo lo scorrere delle generazioni.
Palazzo Forti
Alla fine del Settecento la famiglia Forti acquistò un complesso edilizio che occupava un intero quartiere cittadino per
trasformarlo in palazzo padronale. Palazzo Forti è un esempio di commistione fra un elegante palazzo borghese ed una corte agricola posta all’interno della cinta muraria, come evidenziano l’androne d’accesso, gli alloggi per i fattori, le
barchesse, le stalle e i fienili. L’interno presenta alcune pregevoli sale dipinte con gusto neoclassico. L’ultimo proprietario, e occasionale abitante del palazzo, fu Ernesto Forti di Alessandro e Adele Rocca, che non ebbe figli. Amelia Minghini (vedova di Ernesto, risposata Novelli e poi nuovamente vedova), alla sua morte nel 1968 lasciò i malandati immobili sabbionetani, ereditati dal primo marito, alla Comunità Ebraica di Mantova che li cedette al Comune di Sabbioneta.
Successivamente gli ambienti furono destinati ad accogliere alloggi popolari, la biblioteca, gli uffici culturali del Comune, un centro studi-convegni e gli uffici dell’Istituto Scolastico.
La casa natale di Giuseppe Ottolenghi
Attigua a Palazzo Forti, all'angolo tra via Vespasiano Gonzaga e via Stamperia, si trova la casa natale di Giuseppe Ottolenghi (Sabbioneta 1838 - Torino 1904). Primo ebreo italiano ammesso al corso ufficiali dell’esercito piemontese sabaudo, partecipò alle guerre di indipendenza del 1866; percorse tutte le tappe della carriera militare sino al grado di generale di corpo d'armata. Nominato senatore del Regno d’Italia nel 1902 fu ministro della guerra nel governo Zanardelli (1902-1903). In questa casa, il cui primo nucleo fu edificato nel 1585, soggiornò per alcuni periodi estivi lo
scrittore Ippolito Nievo che era compagno di scuola e amico di Emanuele Ottolenghi, fratello di Giuseppe.
L'acquisizione dei palazzi gonzagheschi
L'inizio del XIX secolo, con Sabbioneta occupata dalle autorità francesi, segnò l'avvio di ingenti acquisti di fabbricati e terreni di proprietà pubblica o di congregazioni soppresse. Nel 1812 il demanio di Mantova mise in vendita il Palazzo Ducale, il Teatro e l'ex Convento dei Serviti; i tre edifici furono acquistati da società composte in maggioranza da famiglie ebraiche (Cantoni e Forti). Nel 1813 i Forti ne divennero i proprietari esclusivi e, nel 1826, decisero di donare la chiesa dell’Incoronata alla fabbriceria arcipretale. Nel verbale di donazione della chiesa Donato Forti scrive che l’annesso convento sarebbe stato successivamente venduto al Monte di Pietà di Sabbioneta, restando inteso che esso dovesse essere trasformato in un orfanotrofio per fanciulli. Altri atti notarili del 1813 riportano che Raffaele Emanuele, di Ori Forti, s’aggiudicò l’acquisto di Palazzo Giardino con annessa "ortaglia".
Testo di Alberto Sarzi Madidini